Collezione Becchetti e catalogazione
La fotografia delle origini nella Collezione Becchetti
Elisa Mengoli
I Grandi Formati dell’importante collezione fotografica di Piero Becchetti (Roma, 1922-2011), sono stati oggetto di uno studio propedeutico alla descrizione inventariale con l’immissione dei dati in file excel (esportabili in vari sistemi), per un numero complessivo di 3179 report, tra fotografie e stampe fotomeccaniche.
La collezione Becchetti si è così arricchita di nuovi apporti semantici in particolare grazie all’individuazione di rilevanti percorsi interni, tracciati dagli interessi dello studioso romano, atti a collegare i diversi nuclei in dialogo tra loro.
Il lavoro ha infatti rivelato l’esistenza di tematiche ricorrenti, talvolta distinte ma molto spesso intrecciate, il cui fluire innerva l’intera partizione dei Grandi Formati: la loro analisi individuale si illumina se letta nell’insieme organico della narrazione.
Un esempio tra i percorsi individuati è il filo rosso della fotografia delle origini: Piero Becchetti raccolse alcuni tra i più importanti incunaboli prodotti all’inizio della storia del mezzo fotografico, fondamentali specialmente per ripercorrere gli avvii della storia della fotografia italiana.
Si ritrovano le prime raccolte di incisioni edite dal parigino Noël Paymal Lerebours e dal milanese Ferdinando Artaria con stampe all’acquatinta tratte da dagherrotipi: si tratta di vedute e paesaggi che hanno il sapore esotico della storia - poiché la fotografia nacque fin da subito anche come fotografia di viaggio - dai colossi nubiani d’Egitto (FB009607_06) alle rovine della Roma antica (FB009607_01).
Siamo nei primi anni Quaranta dell’Ottocento - qualche tempo dopo l’annuncio parigino dell’invenzione di Louis Daguerre - quando per ovviare alla non riproducibilità seriale della dagherrotipia, presto avvertita come un vero e proprio difetto tecnico, si pubblicavano incisioni, per loro natura ristampabili, tratte da singoli dagherrotipi. La tradizione incisoria sopperiva dunque all’unicità auratica del metodo di Daguerre con la copia seriale: ecco allora le Excursions Daguerriennes di Lerebours cui rispondeva l’editore Artaria con Vues d'Italie d'après le Daguerréotype. La storia è nota: fu il fronte britannico con Henry Fox Talbot a vincere la tenzone sul procedimento fotografico grazie all’invenzione del negativo da cui poter trarre innumerevoli copie positive su supporto cartaceo.
Seguendo il filo degli incunaboli fotografici, dagli anni Quaranta si passa al 1852, anno delle prime prove di Leopoldo Alinari antecedenti la fondazione del celebre studio avviato poi assieme ai fratelli Giuseppe e Romualdo. Nei Grandi Formati Becchetti si trovano ben 3 positivi realizzati dal fotografo prima del 1854: immagini di una Firenze semi-deserta e colorata a mano (FB008090, FB008091, FB008093; FB008092, sempre di Leopoldo, riprende invece Siena).
Dalla Toscana si passa alla Roma papalina, precisamente al 1855 con uno dei protagonisti della prima stagione fotografica nella città eterna, il britannico James Anderson. La splendida carta salata del basamento della colonna di Antonino Pio, ripresa nel cortile della Pigna in Vaticano, presenta il contrassegno del publicetur rilasciato all’autore, ovvero il bollo dell'ufficio pontificio per la licenza di tiratura fotografica necessaria alla diffusione delle stampe (FB009511_01).
L’ultimo passaggio tocca al lucigrafo milanese Luigi Sacchi in un momento cruciale per l’Unità d’Italia: su richiesta del Comando Piemontese, con spirito da vero fotografo di reportage, l’autore riprese il ponte di Magenta sul Ticino, distrutto dagli austriaci il 4 giugno 1859, nel luogo teatro di battaglia della seconda guerra d’indipendenza (FB009670_02). D’altra parte il suo ultimo lavoro è una vera epifania dello sguardo: la casa di Caprera del generale Garibaldi, una piccola e modesta dimora serrata da un muretto a secco con i panni stesi al vento (FB009670_01).